Le restrizioni anti-Covid, soprattutto nel periodo di Natale, hanno portato un aumento del fatturato per le aziende che vendono prodotti derivati dalla cannabis. Ovviamente stiamo parlando di prodotti ottenuti dalla coltivazione di canapa legale, cioè a basso contenuto di THC (entro lo 0,6%) e quindi senza effetti psicoattivi sul consumatore, bensì rilassanti per la presenza del cannabidiolo, comunemente chiamato CDB. Non avere effetti psicoattivi vuol dire che questi principi non portano ad uno stato alterato della mente e non producono dipendenza.
Con il periodo di restrizioni e ormai il perdurante stato di emergenza, con il relativo stress psicologico sulle persone, i prodotti a base di CBD stanno conoscendo un vero e proprio boom. Se prendiamo in esame la regione, definita la locomotiva economica d’Italia, notiamo che negli ultimi 3 anni il numero delle aziende in questione è raddoppiato. Se parliamo invece di superficie coltivata a canapa, passiamo dai 75 ettari del 2017 ai 150 del 2020; la provincia più attiva è Pavia con 45 ettari, ma anche Milano, non certo famosa per l’agricoltura, presenta 8 ettari di coltivazioni di canapa.
La Lombardia fa veramente da locomotiva al settore con 146 negozi sparsi sul territorio, segue il Lazio con 103, l’Emilia Romagna con 87, il Veneto con 62 e la Toscana con 56. Ma il boom di vendite di questi giorni sembra essere figlio delle restrizioni per il contenimento dell’epidemia e del cashback di Stato, che incentiva gli acquisti con il POS ottenendo uno sconto del 10% sul totale speso. (https://www.altroconsumo.it/soldi/carte-di-credito/news/cashback)
E anche in questo grave momento, (da vari punti vista) i numeri non mentono. Le vendite maggiori di cannabis light si registrano nelle regioni “rosse”, ossia con le più dure misure anti-Covid. In particolare in Lombardia: +250%. Dati eloquenti sono stati pubblicati di recente da Matteo Moretti, fondatore di JustMary, società attiva nella vendita di cannabis light legale, intervistato da “Il Corriere della Sera”.
“Negli ultimi mesi del 2020, spiega Moretti, si sono registrate vendite record con picchi di ordini del 200% in alcune regioni. La società, operativa con un servizio di ecommerce su Milano, Torino, Firenze, Roma, Monza e Catania, ha chiuso l’anno con 50mila ordini. E l’idea di offrire ai clienti la possibilità di pagare nel momento dell’avvenuta consegna, tramite pos in dotazione ai rider, è un importante incentivo all’acquisto, poiché permette di usufruire del bonus di Stato. Infatti come sottolinea ancora Moretti, una buona fetta di clienti è migrata dal pagamento direttamente online a quello in “presenza” al momento della consegna a domicilio. Ma la Lombardia non è l’unico esempio di questo boom. Vendite più che raddoppiate anche a Palermo e a Catania, con la Sicilia che diventa la seconda regione d’Italia per questo tipo di acquisti.
L’aspetto normativo
Il settore comunque, sembra una Ferrari lasciata ancora in garage. Il problema è anche il vuoto normativo e lo stallo politico che lascia gli operatori in balia di chiusure ideologiche e sentenze di varie istituzioni anche a livello sovranazionale.
La legge di riferimento in Italia è la 242/2016, promulgata durante il governo Renzi, che reca norme “per il sostegno e la promozione della coltivazione e della filiera della canapa” e si applica “alle coltivazioni di canapa delle varietà ammesse iscritte nel catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole (…) le quali non rientrano nell’ambito di applicazione del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti (…)”.
La norma chiarisce le destinazioni di utilizzo della canapa stabilendo che dalla pianta, coltivata secondo le regole è possibile ottenere:
1) alimenti e cosmetici prodotti esclusivamente nel rispetto delle discipline dei rispettivi settori;
2) semilavorati, quali fibra, canapulo, polveri, cippato, oli o carburanti, per forniture alle industrie e alle attivita’ artigianali di diversi settori, compreso quello energetico; 3) materiale destinato alla pratica del sovescio;
4) materiale organico destinato ai lavori di bioingegneria o prodotti utili per la bioedilizia;
5) materiale finalizzato alla fitodepurazione per la bonifica di siti inquinati;
6) coltivazioni dedicate alle attività didattiche e dimostrative nonche’ di ricerca da parte di istituti pubblici o privati;
7) coltivazioni destinate al florovivaismo.
Da ciò discende la liceità della coltivazione della cannabis, seguendo particolari disposizioni. Non solo; è lecito anche trasformarla per ottenere i prodotti indicati dalla normativa. Il paletto più importante è la percentuale di THC presente nella pianta.
L’Art. 4 recita: “Qualora all’esito del controllo il contenuto complessivo di THC della coltivazione risulti superiore allo 0,2 per cento ed entro il limite dello 0,6 per cento, nessuna responsabilità è posta a carico dell’agricoltore che ha rispettato le prescrizioni di cui alla presente legge.
Dopo la promulgazione di questa legge nel 2017, sono “sbocciati” in Italia come in altri Paesi dell’Unione Europea, centinaia di negozi dedicati alla vendita di infiorescenze di canapa coltivate per destinazioni ‘tecniche’ o per ‘collezionismo’. Successivamente sono intervenuti con delle circolari, i ministeri dell’Interno e delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. In sostanza è stata limata la soglia del THC.
“Le infiorescenze della canapa con tenore superiore allo 0,5% di THC rientrano nella nozione di sostanze stupefacenti”.
Il 30 maggio del 2019 una sentenza della Cassazione ha decretato che “la commercializzazione di cannabis sativa e, in particolare, di foglie, infiorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell’ambito di applicazione della legge n.242 del 2016 salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante”. In pratica, l’osservato speciale nonché vero discriminante è sempre il THC, elemento psicoattivo al contrario del CBD.
Questa sentenza di fatto mantiene l’incertezza, ma secondo Federcanapa (la federazione della canapa italiana), avrebbe anche arrecato danni all’intero settore. Sul dossier canapa si legge che “gli investimenti in Italia sono considerati ad elevato rischio per le interpretazioni normative restrittive relative all’impiego della parte apicale della pianta di canapa Industriale”.
Insomma complice la politica, la Ferrari viene ancora tenuta sottochiave e un settore con enormi potenzialità con ricadute nei campi più svariati, non viene valorizzato per motivazioni che non sembrano aderenti alla realtà economica e sociale del 2020. Ricordiamo che l’intero comparto in Italia conta almeno 10mila addetti, con 1500 aziende di trasformazione e commercializzazione, e 800 aziende agricole, per un fatturato di 150 milioni di euro nel solo 2018 econ quasi 4mila ettari di colture in Italia, secondo le stime di Coldiretti. Questa filiera s’innesta in uno scenario mondiale in crescita esponenziale.
Secondo un recentissimo studio di Research & Markets il settore della canapa industriale, passerà dai 4,6 miliardi di dollari del 2019 ai 26,6 miliardi di dollari del 2025. Un aumento annuo del 34%. Molto più grande dell’aumento che vediamo nel settore del gioco d’azzardo. L’Italia, dove sarà?